Lo so cosa stai pensando: c’è già un articolo del genere su SEOchef. Abbiamo affrontato il tema dei miti da sfatare in passato, ma i punti dell’ultimo post riguardano solo gli aspetti generali di questo mondo. Parliamo di blogging in senso ampio, non definito.

Blogging aziendale

Ora c’è un lavoro diverso da svolgere. Possiamo individuare un campo specifico, tipo il corporate blogging, e snidare le cattive abitudini. Questo è un punto interessante del nostro: siamo circondati da miti e leggende, notizie non confermate che possono diventare realtà in un attimo.

Basta una distrazione per trasformare una voce di corridoio in verità assoluta. Nel blogging aziendale – così come in tanti altri settori – non esistono certezze granitiche e gli aspetti da contestualizzare sono tanti. Ecco perché in questo articolo voglio riportare la mia esperienza personale e sfatare 5 miti che hanno preso forza nel corporate blogging.

1. Chi lavora in azienda non condivide i post

Ho incrociato più volte questo timore nei confronti della condivisione, un tentativo vano di apparire distaccati e neutrali di fronte ai social aziendali. “Sì, lavoriamo con il blogging e con i contenuti ma meglio non condividerli sui nostri profili personali: non vogliamo apparire di parte”.

Ma cosa significa? Sei diparte, certo. E allora? Qual è il problema?

Devi essere il primo lettore del tuo blog aziendale. Mi rivolgo a te, amministratore delegato. E a te dirigente che hai appena firmato un piano di investimento dedicato al digital marketing. Per non parlare del dipendente che ha firmato l’articolo: il blog aziendale è spirito corporativo, è unione e sforzo collettivo per raggiungere un obiettivo.

2. Non devi pubblicare con nome e cognome

Grandi battaglie si sono svolte intorno a questo punto. I blogger aziendali devono celare la propria identità, il contenuto deve essere proposto da un fantomatico operatore presentato con il nome di “Redazione”. Questo nei casi migliori: in quelli peggiori c’è chi continua a pubblicare come “Admin”.

Perché tutto questo? Spesso le aziende non vogliono far emergere singole personalità. Perché fare pubblicità a un singolo dipendente? Perché dare a un operatore la possibilità di farsi notare? Ecco le domande che ruotano intorno a questa soluzione.

Un post senza nome è autorevole, distaccato, senza influenza: forse questo crede chi propone l’anonimato. Ed è un’idea sbagliata perché l’autorevolezza si basa proprio sulla capacità del post di farsi riconoscere.

La firma dà valore al contenuto e questo vale in ogni occasione, anche quando è il dipendente a pubblicare articoli sul blog aziendale. Sarà lui a rendersi riconoscibile e a risolvere i problemi dei potenziali clienti: tutto questo è valore per la tua attività commerciale. Valore inestimabile.

3. Devi usare un linguaggio autorevole

Magari qualcosa che incuta timore, e che permetta alla tua azienda di farsi riconoscere come leader del settore. Aspetta, aspetta… Potresti sottolineare che operi a 360 gradi perché vuoi tutti i clienti di questo mondo. Anche quelli che non cercano te. E nella pagina about me aggiungi che fai parte di un’azienda giovane e dinamica.

Tutto questo è sbagliato, così come è sbagliata l’idea di dover comunicare autorevolezza attraverso linguaggi ormai abbandonati come l’aziendalese. Le persone non hanno bisogno della tua tracotanza, o dei messaggi pubblicitari travestiti da articoli. Li bypassano, li ignorano. Vogliono contenuti utili.

Tu devi usare il blog per annullare le distanze: la scrittura deve essere uno strumento per avvicinarti agli utenti che potrebbero diventare clienti: se crei delle barriere, con l’uso di parole ostili o presuntuose, ti stai allontanando dall’obiettivo. E dalla natura del blog.

Da leggere: come eliminare l’aziendalese dal tuo blog

4. Meglio un blogger esterno

In questo caso non si tratta di un’informazione errata: è un aspetto strategico della tua attività di blogging che deve essere ponderata, valutata con attenzione. Non puoi liquidare tutto con la fattura al blogger freelance: a volte non conviene, e diventa una spesa inutile.

Prendi come esempio un’azienda dedicata a un argomento specifico, difficile da affrontare da un appassionato o da un blogger generico. Io posso essere un ottimo blogger freelance per un progetto dedicato al social media marketing o alla SEO, ma affermo lo stesso di fronte a un piano editoriale dedicato al tema medico? O legale?

No, la risposta è chiara: in determinati casi solo una persona legata alla professione può scrivere articoli ricchi, densi di informazioni, capaci di intercettare le esigenze del pubblico. A volte la soluzione non risiede nel blogger freelance, ma nella redazione interna.

Quindi devi trasformare i tuoi dipendenti migliori in blogger e investire in formazione.

5. Difficile far linkare un blog aziendale

In realtà uno degli obiettivi del blog aziendale potrebbe essere proprio questo: ottenere dei link per un dominio dove ci sono solo pagine commerciali, dure da spingere in un’azione di link building. Gli articoli del blog, invece, dovrebbero essere determinanti in questo lavoro anche se uno dei miti più spigolosi è proprio questo: nessuno linka i blog aziendali.

Vero? Devi dare un buon motivo alle persone per linkare. Molto dipende dall’investimento e dalla giusta strategia di content marketing: bella sfida ottenere buoni risultati se basi tutto sulla pubblicazione di riflessioni mediocri.

Prova a fare un passo avanti, regala qualcosa che gli altri non hanno ancora proposto. Ad esempio puoi usare il blog per distribuire dati legati tuo settore e guadagnare i link di chi vuole descrivere questi numeri.

Oppure puoi puntare su pillar content, tutorial, infografiche, magari su un documento PDF da scaricare gratis (ebook, modulo, modelli per svolgere determinati lavori): le opzioni sono diverse e sempre impegnative, non esiste il guadagno massimo a sforzo zero in questi casi. Poi i link arrivano.

Per approfondire: SEO e immagini, punta alla link earning

Blog aziendale: quali sono i miti?

I miti del blogging aziendale non finiscono qui. Ce ne sono altri, sono sicuro. Ma la mia esperienza è limitata, come è giusto che sia, ai clienti che ho curato personalmente. Ecco perché chiedo aiuto a te: completiamo insieme questa lista di leggende da chiarire. Aspetto il tuo contributo nei commenti.