Fra i progetti SEO che trovo stimolanti da seguire non vi sono solo i siti borderline (sempre a farei  malanni, eh!) ma – in gran parte – tutte quelle richieste di visibilità e protezione della reputazione di un brand.

Si tratta di un lavoro complesso, di lungo termine ma che innegabilmente evita figure barbine per dirla in modo tecnico. Un’azienda che non ha il controllo del proprio brand è un’azienda affidabile?

Soprattutto, sa che risultati emergono dal motore di ricerca quando un utente cerca maggiori informazioni su di un singolo prodotto marcato o su tutto il brand aziendale?

Le 5 situazioni-tipo del brand sul motore di ricerca

Nella mia modestissima esperienza mi sono imbattuto in alcuni casi topici riguardo la gestione della visibilità lato SEO. “Si, ma fare ottimizzazione per il nome di un’azienda è semplice, e non serve, dato che vengono digitate query commerciali“.

Probabilmente non serve per attirare nuovi clienti (se conoscono il brand..) ma i fidelizzati potrebbero ricevere colpi alla fiducia tipo cazzotto di Ivan Drago nel vedere gli scheletri in SERP dell’azienda riconosciuta.

Ora, ti propongo 5 situazioni-itpo del brand senza controllo sul motore di ricerca, in puro stile settimana enigmistica (cambiando poche lettere dell’aggettivo).

1. L’azienda distratta. Si tratta dell’attività che non ha la cura basilare del proprio brand e non prende le estensioni di dominio più utilizzate per tutelare il proprio marchio.

Hai voglia a registrarlo e a presentare carte e documenti se l’intestatario del tuo .it è un domainer residente in uno stato che non esiste nemmeno nel Risiko.

Mi è capitata una casistica di un e-commerce di abbigliamento che aveva sopra il sito ufficiale, per la ricerca di brand, uno store IDENTICO piratato. La cosa bella è che li linkavano per dire “guardate che loro non sono noi“. Fortunatamente, tolto il link hanno risolto buona parte del problema (poi il taroccomane ha lasciato scadere il dominio, non appena si è visto calare in SERP).

2. L’azienda distrutta. L’evoluzione del caso precedente: il brand che deve ripartire da zero perché si è dimenticati di rinnovare il dominio (!) oppure vi è stata un’azione di SEO negativa / link building spinta.

Nel primo caso, se quella iena di un domainer ti ha soffiato il brand, puoi solo che provare le vie legali (sempre che sia registrato e non sia il profilo del personaggio di cui sopra);  nel secondo preparati a un’azione di ripulitura link e – nella peggiore delle ipotesi – ad abbandonare la nave. Hai un altro nome a dominio identico ma con diversa estensione, no? NO?

Il secondo caso sta diventando, purtroppo, pane quotidiano a forza di filtri di Google; il primo mi è capitato più spesso di quel che sembri (e mi sono ritrovato a rincorrere titolari il 13 agosto per segnalare la problematica).

3. L’azienda disfatta. Si tratta del brand che nella prima pagina del motore di ricerca c’è, magari anche con il proprio sito, ma poi subito dopo in SERP si presenta tutta una serie di contenuti di aggregatori, portaloni e directory che non rendono giustizia all’immagine dell’azienda.

E in certi casi potrebbero pure fornire dati erronei o poco aggiornati, confondendo l’utente e lasciandolo interdetto di fronte a tante informazioni contraddittorie.

4. L’azienda negletta. Un tipo di attività molto diffuso: magari ha anche realizzato un ottimo start up di progetto, per poi arenarsi dopo qualche mese.

Il risultato è una SERP per il brand che potrebbe anche avere ottime potenzialità (pagine social, presenza controllata in portali di settore) ma che poi si riduce a una cattedrale nel deserto non aggiornata dai tempi dei colloqui con gli anziani del tempio.

Probabilmente dei 5 è il profilo “meno problematico”, basterebbe infatti un minimo di gestione multicanale per dare l’idea di un’azienda davvero giovane e dinamica, come piace dire a molti.

5. L’azienda in maretta. La situazione più difficile, cercando il brand si va da commenti negativi sui social o sui portali di settore o, nei casi più hard level, a notizie sui giornali online circa coinvolgimenti in affari non troppo chiari.

La casistica davvero nightmare è quando, inserendo il nome del brand, Google lo completa utilizzando termini cometruffa“, “indagine“, “condanna“.. in base alla gravità della questione, tocca farsi seguire per – alla lunga – fare calare quei trend (ma preparati a limitare i danni se si tratta di qualcosa di “grosso”) con azioni di lungo corso di Content Marketing che aggiunga valore.

L’ultima richiesta che mi hanno fatto circa la protezione di un brand lato SEO era di un’attività così malridotta. Dopo un piccolo listening e l’utilizzo del tool di Talkwalker Alerts , che permette di monitorare se vi sono nuovi contenuti sul brand, si è riusciti a elaborare una strategia e a gestire la problematica.

Certo non è affatto semplice, d’altronde il brand potrebbe essere refrattario a certe pratiche, non capendole.

E tu cosa ne pensi? Lavori con clienti di questo genere, e vuoi aggiungere la tua? Scrivila qui sotto!